Le Maschere italiane

La tradizione italiana del teatro dei burattini e delle marionette, in ragione della storia politica e sociale del nostro paese così peculiare e ricca di localismi e campanilismi, presenta una varietà di caratteri, personaggi e maschere cittadine e regionali, unica in Europa. Per illustrare tanta ricchezza abbiamo dunque affiancato ai burattini del Museo TOPIC, una sezione dedicata alla maschere italiane. Come per i loro confratelli europei, nel percorso espositivo accanto a figure che hanno sulle spalle storie plurisecolari come Pulcinella, Arlecchino, Brighella, Pantalone e il Dottor Balanzone, troviamo personaggi meno antichi, nati tra Sette e Ottocento, come Gianduja e Gioppino, e poi quelli apparsi nel primo Novecento Bargnocla e Testafina, fino ad arrivare agli ul-timi nati, nel finale del secolo scorso, il sardo Areste Paganos e il varesino Pirù. Al di là del cambiamento che ha investito il teatro classico dei burattini alla metà del ‘900, trasformandolo in pochi decenni nella percezione collettiva da spettacolo per un pubblico adulto a teatro per un pubblico infantile o al più familiare, è di tutta evidenza che queste figure vivono da sempre in simbiosi col tessuto storico-sociale in cui sono immerse e di cui sono espressione, e che la loro vitalità è stata ed è ancora in qualche sorta un in-dicatore dei mutamenti e dell’evoluzione del loro pubblico di riferimento. Così, se dopo la crisi degli anni ’50 protrattasi per oltre vent’anni, i personaggi delle grandi tradizioni, quella lombardo-veneta, quella emiliana e quella delle guarattelle napoletane, dopo aver rischiato di scomparire hanno ritrovato forza, nuova linfa e rinnovata vitalità, altre figure hanno conosciuto un lento declino: basti pensare a Meneghino e Gianduja, maschere di due città profondamente trasformate e mutate nella loro composizione sociale dai grandi fenomeni migratori legati al boom economico degli anni ’60. La ripresa degli anni ’70, con la comparsa di tante nuove compagnie di burattinai, per lo più estranee all’eredità delle dinastie familiari ottocentesche e spesso formatesi in contesti privi di una tradizione classica locale ma desiderose di misurarsi col teatro popolare delle teste di legno, ha invece portato alla nascita di nuovi repertori e nuovi personaggi, alcuni dei quali capaci di costruire un rapporto solido e duraturo col pubblico e di valicare i confini non solo locali e regionali, ma talvolta anche quelli nazionali; a rappresentare simbolicamente i tanti nuovi personaggi non presenti in mostra ricordiamo Tavà, creato a Como dal poeta e pittore Piero Collina e fatto diventare burattino nel 1985 da Dario Tognocchi, e Pitin e Manacca, nati nel 1987 a Cesena dalla fantasia di Flavio Tontini e Gianfranco Zavalloni. In fondo, la ricerca di Toni Rumbau ci insegna che i personaggi che popolano il teatro di burattini nascono, si affermano, vivono apparenti declini, paiono scomparire per poi ricomparire dalle proprie ceneri, magari sotto altre spoglie e con altri nomi, ma sono sempre e ovunque capaci di trasformarsi, per mantenere vitale ed attuale un teatro in cui continua a pulsare forte un autentico affiato popolare.

Valter Broggini