Pulcinella

Napoli, Italia

Il nostro Pulcinella, la proteica maschera napoletana è all’origine di una famiglia di personaggi a lui fratelli e parenti, estremamente relazionati tra loro, e che sono diventati nei secoli dei piccoli miti, talvolta effimeri, però molto radicati nei tessuti delle tante città che li hanno accolti e che continuano ad abitare. Pulcinella è il punto di partenza. Nato a Napoli durante l’epoca del Rinascimento, si aggira per l’Europa ed in ogni città subisce trasformazioni: là gli cresce il naso, qui lo fanno ricco o misero, felice o disgraziato, alcuni gli mettono un cappello e altri glielo tolgono, gli lasciano crescere barba e baffi, gli eccitano l’ira, la gola o la lascivia, e tutti lo fanno parlare con la lingua propria di ogni luogo. E là dove Pulcinella non arriva, emergono comunque altri personaggi che presentano la sua stessa psicologia; di tutto ciò, Pulcinella è la matrice. La sua identificazione con la città che lo ha visto nascere è totale: quando si chiede a un napoletano di Pulcinella lui ci parla di Napoli e viceversa quando domandiamo di Napoli ci parla di Pulcinella. E’ la maschera burlona e irriverente, capace di apparire in un presepe natalizio, sul bancone di un bar, nel carretto di un venditore ambulante, nel portachiavi di un tassista, come una grande statua di pietra che guarda la città dalle falde del Vesuvio (opera di Lello Esposito) o come il souvenir più kitsch e banale. E’ chiaro che abitare accanto a un vulcano di quelli definiti esplosivi (che si attivano senza avvisare) accentua la tendenza al carpe diem, al vivere giorno per giorno, e questa filosofia di vita è pienamente incarnata in Pulcinella. La sua caratteristica più straniante e vistosa è che nasce da un uovo, deposto da un altro Pulcinella, vale a dire che Pulcinella nasce da se stesso. Si riproduce da sé stesso come fanno gli Dei (o i serpenti, divinità terrestri chiamate a rappresentare le forze dell’inconscio). E’ dunque un piccolo Dio, molto sui generis, un Dio moderno, di quelli che fanno ridere e divertono, quelli che nessuno chiama Dei, e dei quali però si ammira la vitalità esultante e frenetica, liberatrice e individualista, così rappresentativa degli archetipi di libertà e di egotismo. Porta la maschera nera su un naso adunco, il vestito con tunica e calzoni bianchi, il cappello a pan di zucchero. E’ pigro, opportunista e sfrontato, vorace e perennemente affamato, chiacchierone, bastonatore ma spesso anche bastonato nei suoi continui incontri/scontri col guappo, il giudice, la guardia, il cane aggressivo che lo vuol sbranare, nonché ovviamente col Diavolo e con la Morte, cui regolarmente sfugge per ricongiungersi alla sua amata Teresina. Il suo virtuosismo ritmico col bastone e la sua particolare voce chioccia, emessa attraverso la pivella (una piccola ancia dal suono stridente che si inserisce tra la lingua e il palato), accentuano la forza ritmica e la dinamicità degli spettacoli delle guarattelle (così vengono chiamati i burattini napoletani) esaltando la sua esuberanza, il suo virtuosismo mimico e canoro, lo spirito ironico, canagliesco e generoso, la sua filosofia pratica e disincantata. E’ archetipo di vitalità, di libertà e di ribellione. Pulcinella burattino è stato recuperato dall’oblio in cui rischiava di cadere negli anni ’80 grazie a Bruno Leone e Salvatore Gatto, che appresero l’arte delle guarattelle dai loro rispettivi maestri Nunzio Zampella e Giovanni Pino, esponenti ormai anziani di un’arte a rischio d’estinzione. Da allora le guarattelle hanno conosciuto una straordinaria rinascita e oggi moltissimi sono gli interpreti che fanno apparire Pulcinella nel piccolo boccascena tipico dei teatrini napoletani, non solo in Campania ed in Italia ma in giro per il inondo: oltre a Leone e Gatto, occorre ricordare il lavoro di Gaspare Nanito, della Compagnia degli Sbuffi e di Gianluca Di Matteo.