“Anche a rischio di recare un grosso dispiacere a chi ancora s’illude in un’imminente rinascita di popolare interesse per le marionette e i burattini, bisogna onestamente riconoscere che, non soltanto questa nobile forma di spettacolo è oggi agli ultimi giorni della sua lunga agonia, ma, ciò che è assai peggio, le sue tante memorie di cronaca e di storia si van purtroppo spegnendo fra il disinteresse più palese, sì che fra pochissimi anni saranno certo del tutto scomparse. E allora, di questo grande teatro, ancora ben vivo alle soglie del nostro secolo, riuscirà a sopravvivere soltanto un ricordo di tradizione remota, qualcosa d’ancora più sperso e impreciso della
stessa Commedia dell’Arte …”

Così, inizia il libro “Marionette e Burattini“ (1) uno dei volumi più interessanti dedicati all’Arte delle teste di legno che nel corso della mia attività mi ha soccorso più volte aiutandomi a ricavarne spunti, a conoscere, esaminando i testi intelligentemente inseriti nell’opera, l’evoluzione dell’Arte burattinaia italiana; ma rileggendolo tempo fa mi ha colpito un particolare, la data di pubblicazione: 1958!
Il pessimismo degli autori, certamente supportato da un’analisi indubbiamente precisa, non trova però conferma negli anni trascorsi dalla pubblicazione del volume ai giorni nostri.
Nel 1958 erano già cinque anni che effettuavo spettacoli sotto la guida del primo Maestro e ancor oggi, ringraziando la buona sorte, sto lavorando e sicuramente non sono il solo a farlo. È vero, il futuro è sempre avaro di previsioni ottimistiche, ma per il nostro mestiere (Arte?), penso si possa ancora affermare che: “il burattino è un moribondo … che non muore!”.
Mutano i linguaggi, si trasformano i dialetti, cambia il modo di rappresentare le nuove storie, anche il burattino assume fisionomie ed espressioni diverse, ma il segnale positivo viene dal fatto che ancor oggi “nuovi“ teatrini di giovani burattinai s’aggiungono a quelli, magari un po’ logori dei vecchi e insieme si spostano di città in città, da regione a regione; ora ci si muove facilmente e le località dove dar spettacolo si raggiungono e si lasciano velocemente: Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, ecc., sono dietro l’angolo e con l’aereo si possono coprire distanze una volta per noi inimmaginabili. Capita che si diano per esauriti certi fenomeni per la distrazione nel guardare avanti; a volte si dimentica ciò che si vuole dimenticare e ci troviamo a dare per esauriti fenomeni ancora pieni di vitalità … ancora utili.
Ogni anno si formano nuove compagnie che sostituiscono quelle che abbandonano il campo. Non mancano giovani con nuove idee, progetti d’innovazione; è su di loro che si deve puntare.
Ora è evidente che il classico repertorio dei burattinai di un centinaio di anni fa, se utilizzato senza particolari aggiornamenti, è irrimediabilmente sorpassato dalla storia e dall’ottica acquisita da una modernizzazione frenetica e direi incontrollabile, che ha fatto sì che sia finita l’epoca nella quale una antica raccolta di commedie, che i maestri del passato utilizzavano nel proporre testi, era valida per un pubblico appassionato, che ne gradiva la ripetizione quasi “sacrale” e non accettava alcuna innovazione.
Lo spettacolo assumeva così l’aspetto di una cerimonia priva di cambiamenti; anzi si ha l’impressione che ogni anno lo spettatore prendesse posto davanti al teatrino per riprovare le consolidate emozioni, ricordare il passato.
L’Artista riproponeva dunque spettacoli di burattini tratti da commedie di prosa ottocentesche, dove le figure principali, (le Maschere locali) fungevano da piacevole ponte tra la vicenda teatrale interpretata da umani e quella diventata opera burattinesca.
Si mettevano in scena antichi drammi: Pia De Tolomei, Il povero fornaretto di Venezia, Le due orfanelle, I piombi di Venezia, Il Passatore brigante romagnolo, Bianca e Fernando, I due Sergenti, I tre Principi di Salerno, eccetera. Drammoni che ricordo muovevano la commozione degli spettatori più sensibili, se recitati egregiamente e i burattinai Classici erano per lo più ottimi attori. Poi c’era il repertorio francese ottocentesco che trattava di vicende familiari, più leggero e a mio parere, già allora insopportabile, ma il pubblico accettava.
A quel tempo lavoravo con un burattinaio che montava una baracca fissa in una piazza e ogni sera per tre mesi proponeva il citato repertorio.
Con il passare degli anni, lentamente, ho iniziato a vedere altre compagnie che venivano da “fuori” Bologna e in particolar modo le “Guarattelle” napoletane.
Lì ho avuto modo di avvicinarmi a un mondo totalmente opposto e mi sono detto: qui c’è la matrice dello spettacolo dei burattini. Ho iniziato a studiare, grazie alla disponibilità dello studioso Remo Melloni, a visionare le raccolte dei motti delle principali maschere italiane: Pulcinella, Arlecchino, Brighella, Balanzone, Pantalone, il Capitano e altri.
Quelle letture mi hanno aperto al desiderio di tentare un ritorno doveroso all’originale passato, a mio parere stravolto delle sue peculiarità.
Non intendo tornare alla baracchina che piazzata in un mercato, con alcuni lazzi di un Zani, attirava la gente ad ascoltare le promesse di un ciarlatano che vendeva pozioni miracolose o copriva le urla di quei malcapitati che si sottoponevano alle cure di un cavadenti improvvisato; credo che le nostre Maschere della Commedia dell’Arte rappresentino una gamma esaustiva dei molti vizi e virtù intrinseche dell’essere umano: lealtà, finzione, avarizia, generosità, insomma il bene e il male, per cui non occorre inventare, là dove ci sono, nuove figure, ma collocarle in nuovi racconti attuali, e dove è possibile, condire con una buona dose di ironia.
Da una ventina di anni ho intrapreso questa avventura: rileggere vecchi copioni, scartarne molti e in altri operare un recupero che spesso si è dimostrato interessante. Anticamente una commedia per burattini durava anche più di due ore con lungaggini inopportune, ripetizioni noiosissime e linguaggi in disuso. Ora si tende a restringere il tutto per una durata di un’ora e quindici/trenta al massimo e ad evidenziarne il tema già dal primo atto. È una operazione che va fatta con la cautela e il rispetto del buon archeologo. Altra cosa sempre a mio parere, è ricordare di considerare là dove necessario che i testi per burattini dovrebbero puntare sul grottesco, l’impossibile, l’assurdo, perché non c’è esempio più calzante per i burattini di agire nell’incredibile, nel non senso e tramite questo rappresentare senza pedanteria alcuni momenti di realtà, a volte anche graffiante, ma il tutto sempre con mano leggera perché il nostro pubblico è il più eterogeneo possibile: bambini adulti, o adulti bambini; in poche parole un pubblico difficile e meraviglioso.
Per chiarire con semplicità ciò che a fatica tento di affermare, racconterò una mia improvvisazione su un testo antico: Il Ritorno del crociato. La commedia è intrisa di nefandezze, sicari che uccidono gli avversari dell’usurpatore, virtù di mogli compromesse da violenti cavalieri: insomma chi più ne ha, più ne metta. Ebbene l’idea di appiccicare al dramma truculento un po’ di “non sens”, mi venne trasformando il servo Sganapino, il più adatto, in paparazzo, il quale nei momenti più importanti del “dramma”, con una apposita macchina fotografica con lampo, chiedeva stop e scattava la foto; così mentre un sicario pugnalava la vittima, tutti in posa sospendevano l’azione e dopo il flash, riprendevano; così pure durante un duello a spade sguainate entrava Sganapino e: “fermi per favore, un sorriso” e lampo. L’assurdità dell’aggiunta, a mio parere riportò il tutto nella normale inverosimile dimensione dei burattini.
Quando alzo Fagiolino e parlo, a volte osservo la luna e credo che il pubblico osservi Fagiolino e ascolti la sua luna.
Questo è per me il burattino: un incredibile, universale modo di raccontarci una vita impossibile, irreale e individuale. NB. la parte del paparazzo potrebbe essere di Arlecchino, Pulcinella, Gioppino, Pirù, ecc.

Romano Danielli 26 ottobre 2018

(1)
Marionette e Burattini – Roberto Leydi – Renata Mezzanotte Leydi. Milano Collana del “Gallo Grande” 1958.