Proseguiamo il nostro viaggio ne Il Fantastico mondo dei burattini, iniziato con Ortoteatro nel 2013, dedicando questa quarta tappa a quell’universo teatrale straordinariamente ricco e variegato che, con felice definizione, il grande maestro burattinaio bolognese Romano Danielli chiama “il teatro classico italiano di burattini e marionette”.
Nell’immaginare questa nuova esposizione ci è parsa una scelta naturale e quasi obbligata ripercorrere a ritroso il percorso compiuto nella mostra Le strade di Pulcinella, che ci aveva condotti sulle tracce dei personaggi del teatro di burattini e marionette nati e cresciuti dal seme delle maschere italiane della Commedia dell’Arte, in un affascinante itinerario teatrale dal lontano Iran fino alle sponde atlantiche del Portogallo.
In Giù la maschera torniamo alle radici di una forma di spettacolo che dall’Italia si è diffusa a macchia d’olio negli altri paesi europei, ma che si è radicata nella tradizione teatrale del nostro bel paese in modo talmente profondo e ricco di peculiarità e particolarità, da rappresentare un unicum in tutto il panorama del Teatro di Figura dell’Occidente.
Un patrimonio artistico incomparabile, ben descritto nelle parole del burattinaio e scrittore spagnolo Toni Rumbau: “Potrebbe dirsi che in relazione ai burattini e alla pluralità di nomi e eroi popolari, l’Italia costituisce “una vera riserva naturale” degli stessi. Non esiste in Europa nessun altro luogo con caratteristiche similari. Un paradiso per chiunque sia interessato a queste manifestazioni dello spirito umano”.
Un’eccezione frutto anzitutto delle alterne vicende storiche vissute dalla nostra penisola nel corso dei secoli. A differenza di altri grandi paesi europei, costituiti già nel XV secolo in solide entità statali rette da un forte potere monarchico centrale, la storia politica e sociale italiana fino al raggiungimento dell’unità nazionale alla metà del XIX secolo presenta una realtà frammentata in continua scomposizione e ricomposizione, con ducati, repubbliche e regni in perenne lotta tra loro e quasi sempre soggetti al tutoraggio o al vero e proprio dominio straniero; una situazione complessa e articolata, foriera di grandi differenze nelle strutture politiche, sociali ed economiche anche in territori tra loro geograficamente vicini.
Specificità, localismi e campanilismi che hanno impregnato ovviamente anche gli ambiti culturali – ad esempio quello linguistico con l’italiano che diventa realmente lingua nazionale solo dopo il secondo conflitto mondiale – e delle arti e che emergono evidenti se leggiamo in filigrana la secolare storia del teatro di burattini e marionette italiano.
Un teatro quello delle teste di legno capace di accompagnare le innumerevoli trasformazioni della società italiana mantenendo sempre caratteristiche autenticamente popolari, in un dialogo trasversale ai ceti e alle classi sociali nelle loro mutevoli articolazioni. Teatro del e per il popolino, per i contadini ed il sottoproletariato urbano il teatro dei burattini, agile, girovago e capace di adattarsi secondo la bisogna allo spettacolo nelle aie, nei cortili, nelle vie e nelle piazze; più stanziale e vocato agli spazi chiusi anche per necessità tecnica il teatro delle marionette, ospitato spesso nelle residenze nobiliari e capace poi di trasferirsi rapidamente nei teatri delle borghesie cittadine.
Entrambi però serbando un rapporto continuo, genuino e fecondo col proprio pubblico, sapendone cogliere e interpretare umori, tensioni e aspirazioni nei diversi momenti storici in modo così forte e pervasivo da innervare usi, costumi e finanche il linguaggio dei vari luoghi, con espressioni e modi di dire diventati nel tempo cifre riconoscibili e identitarie.
E’ questa capacità di assorbire, rielaborare ed esprimere la complessità antropologica, sociale e culturale dei diversi contesti e delle varie comunità che ha dato vita alla riserva naturale del teatro classico italiano di burattini, con la sua ricchezza di maschere, caratteri e personaggi disseminata lungo tutta la penisola.
Per comprendere come si sia consolidato nel tempo un patrimonio artistico di tale bellezza e vastità, possiamo provare a osservarlo da alcune delle diverse prospettive che fanno oggetto della ricerca di storici e studiosi di quest’arte della scena.
La chiave di lettura più immediata è quella temporale: lo spettacolo con burattini e marionette ha saputo attraversare le diverse epoche, sia quelle di crisi e apparente irreversibile decadenza sia quelle di rinascita e massimo splendore, sapendo conservare vive le figure storiche e accanto a loro accogliendo via via i nuovi caratteri generati dalle ricorrenti spinte di originale innovazione.
Tutto origina dai primi Zanni della Commedia dell’Arte cinquecentesca – i Servi, i Vecchi, il Capitano – che si affermano non solo sui palcoscenici degli attori ma anche nelle baracche dei burattini e rapidamente diffondono la Commedia dell’Arte in tutta Europa.
Questi personaggi primigeni man mano si trasformano, si definiscono e codificano, dando vita alle maschere che attraversando i secoli sono arrivate fino a noi: Pulcinella, Arlecchino, Brighella, Pantalone, il Dottor Balanzone. Poi tra Sette e Ottocento ecco affacciarsi al loro fianco nuove figure: Gianduja, Gioppino, Fagiolino, Sandrone, Meneghino, Facanapa e altre ancora. Sul finire dell’Ottocento appaiono Barudda, Baciccia e nel primo Novecento Bargnocla, Pampalughino, Tascone e Testafina, fin poi ad arrivare agli ultimi nati sull’onda della felice rinascita nel finale del
secolo scorso.
Possiamo così leggere la storia del teatro italiano di burattini e marionette come un ininterrotto flusso, nel quale accanto a maschere capaci di esistenze apparentemente eterne, ve ne sono altre che hanno vissuto una parabola più o meno lunga ma ci appaiono oggi come estinte, e altre ancora capaci improvvisamente di rigenerarsi dopo lunghi periodi di carsica sparizione.
Un secondo aspetto è quello che mette in relazione queste figure con le realtà e le dinamiche socioculturali dentro i diversi territori.
Le prime maschere legano progressivamente e in modo indissolubile il loro nome a quello di città importanti di cui diventano espressione e simbolo: Pulcinella è Napoli, Arlecchino e Brighella, pur bergamaschi di nascita, diventano rapidamente maschere veneziane a fianco di Pantalone, mentre il Dottor Balanzone incarna lo spirito di Bologna. Un fenomeno che chiama in causa il rapporto tra città e campagne e la forza di attrazione e di egemonia culturale dei grandi centri, se si pensa che le origini contadine di Pulcinella rimandano alla periferica Acerra e quelle di Arlecchino a Oneta, piccola contrada montana della bergamasca Val Brembana. E tuttavia, la storica frammentazione politica e l’emergere di un diffuso policentrismo economico e culturale dentro la dialettica storica tra città grandi e piccole, e tra centri urbani e territori periferici e rurali, ha senz’altro favorito l’apparire di figure rappresentative delle piccole città della provincia italiana.
Come esempio basta osservare una della maggiori tradizioni burattinesche, quella emiliana: lungo un centinaio di chilometri della via che attraversa la fertile pianura troviamo a Parma la figura di Bargnocla, a Modena Sandrone con la sua Famiglia Pavironica e a Bologna, accanto al Dutaur Balanzon, ecco Fagiolino, Sganapino e Flemma. Comunità territoriali tutte fieramente orgogliose e gelose delle origini e del carattere identitario dei personaggi che hanno eletto a loro simbolici rappresentanti. E dentro questa proliferazione di figure, troviamo maschere espressione dei ceti urbani e altre che incarnano invece lo spirito delle genti delle vaste aree rurali più o meno periferiche.
Diversità di caratteri che si evidenziano marcatamente anche nelle forme che questi personaggi assumono se le osserviamo da un punto di vista più propriamente teatrale e drammaturgico.
Se prendiamo in considerazione quelle che generalmente sono considerate le tre grandi “tradizioni”, quella delle regioni del Nord (Piemonte, Lombardia e Veneto), quella emiliano – romagnola e quella napoletana (escludendo il Teatro dei Pupi siciliani e napoletani, diverso per origini e repertori), vediamo come nel settentrione convivano in gran numero, almeno fino alla metà del Novecento, grandi famiglie e dinastie di marionettisti e burattinai, mentre nella tradizione emiliano-romagnola la baracca dei burattini prende il sopravvento già verso fine Ottocento e il fenomeno è ancor più palese nelle guarattelle della tradizione napoletana. Differenze che si manifestano alle diverse latitudini nelle tecniche manipolative, nei repertori e nel modo di metterne in scena i protagonisti, ma che attraversano anche le aree tra loro apparentemente omogenee.
Così, se in Piemonte Lombardia e Veneto troviamo alcune maschere – Arlecchino, Brighella, Gianduja, Pantalone – comunemente presenti sulle scene sia in forma di burattino sia come marionetta, altre figure prediligono invece uno dei due generi: a Milano Gerolamo, Famiola e Meneghino calcano prevalentemente i palcoscenici marionettistici, mentre il Gioppino bergamasco si identifica quasi totalmente, salvo sporadiche eccezioni, con la baracca dei burattini. Fenomeno che si amplifica a favore dei casotti dei burattinai nella tradizione dell’Emilia-Romagna e diventa pressoché totalizzante nel teatro delle guarattelle partenopee: Fagiolino, Sganapino, Sandrone, Balanzone e Pulcinella sono in pratica solo burattini.
Un ulteriore ambito di osservazione riguarda l’evoluzione nelle varie epoche del rapporto tra i personaggi della scena, le loro origini e gli artisti che li hanno di volta in volta interpretati. Agli albori della Commedia, la scarsità e frammentarietà delle fonti documentali rende estremamente arduo legare la nascita dei vari personaggi a questo o a quel particolare artista. Nel periodo che va dal Settecento alla fine dell’Ottocento vediamo invece che, pur in presenza di notizie precise sui creatori delle nuove maschere, questi nuovi personaggi e i loro repertori diventano presto patrimonio diffuso e condiviso tra artisti e compagnie di una specifica area geografica, sulla base dell’appartenenza a un contesto culturale omogeneo e ad un preciso ambito linguistico dialettale.
Già sul finire dell’Ottocento e poi col Novecento, dentro ai fenomeni di scomposizione e frammentazione dei gruppi sociali, di maggior mobilità di persone e cose e di affermazione dei valori dei singoli anche in termine di proprietà, si manifesta invece il fenomeno di nuovi caratteri creati e portati in scena da un singolo artista o da una sola compagnia – il Baciccia dei Pallavicini, il Bargnocla dei Ferrari, Pampalughino e Tascone dei Sarina -; figure legate a filo doppio ai loro inventori e destinate a scomparire al concludersi del percorso artistico dei loro creatori.
Una tendenza che è proseguita e se possibile si è amplificata con la rinascita del Teatro di Figura negli anni Settanta del secolo scorso.
La congerie di stravolgimenti storici del Novecento ha infatti prodotto una radicale e profonda cesura dentro al teatro di burattini e marionette italiano. Nel periodo che dagli anni Venti arriva agli anni Sessanta del secolo breve si estinguono tutte le grandi dinastie marionettistiche ottocentesche tranne rare eccezioni – i due rami della famiglia Colla a Milano e pochi altri – e possiamo constatare che nei repertori dei marionettisti a fili italiani le maschere del teatro classico sono oggi praticamente scomparse.
Diversa la situazione del teatro di burattini, nel quale alla sparizione delle famiglie burattinaie di secolare tradizione ha fatto da contraltare il fiorire di nuovi solisti e gruppi, per lo più estranei all’eredità di figli d’arte e talvolta formatisi in territori privi di una tradizione classica locale.
Nel teatro dei burattini permangono dunque la fedeltà alle maschere storiche laddove tradizioni familiari o l’influenza del repertorio, del dialetto e del rapporto col pubblico si è mantenuto costante pur nel cambiamento dei tempi, mentre nelle aree prive di canoni teatrali storicizzati si è alimentato un processo creativo fortemente innovativo, sempre innervato però da un solido legame con le radici autentiche della tradizione. La nascita di nuovi personaggi e nuovi testi ha così avuto l’effetto di diffondere il teatro dei burattini anche in aree del paese nelle quali quest’arte era stata storicamente assente.
Possiamo quindi tranquillamente affermare che in Italia il teatro classico dei burattini, e per taluni versi anche delle marionette, gode di buona salute e vitalità, a dispetto delle tante e ricorrenti previsioni di una sua incombente e definitiva scomparsa.
Al contrario le maschere più antiche ed i caratteri contemporanei conservano viva la capacità di interloquire in profondità con il pubblico, di rappresentare – come dicevano i vecchi burattinai – uno spettacolo genuinamente popolare adatto a tutti dai 5 ai 95 anni e sono in grado, anche nell’epoca della realtà digitale e virtuale, di radunare davanti alle baracche un pubblico numeroso, partecipe e desideroso di rinnovare la magia dello spettacolo dal vivo.

Valter Broggini